I morti segreti del Luzhniki

monumento

«Il 20 ottobre 1982, dopo un match giocato alla Grand Sports Arena, mentre gli spettatori uscivano, a causa del movimento della folla c’è stato un incidente. Ci sono stati dei feriti. Le circostanze dell’incidente sono tutt’ora oggetto d’investigazione».  

 

Così, nella sezione delle brevi, il piccolo quotidiano locale Vechernyaya Moskva, descriveva quello che era accaduto il giorno prima al Central Lenin Stadium. Incidente. E feriti. Fu l’unico che dette notizia di ciò che, agli occhi dei lettori, poteva essere al massimo una notiziola. Del resto ai tempi i media russi, parlando della salute dell’anziano, e a tratti agonizzante, Leonid Breznev la definivano “vittima di un semplice raffreddore” Niente di strano dunque nel fatto che ciò che sette anni più tardi sarebbe stata classificata come una delle più grandi tragedie dello sport sovietico, venisse ridotta a semplice notizia o, peggio tacitata.

La strategica disinformacija agisce su radio, televisioni e giornali: la fede nella solidità dell’Unione è e deve restare intatta. Del resto, perdìo, due anni prima quello stadio ha ospitato le Olimpiadi (quelle del grande boicottaggio) e non è certo un campetto di periferia. È anche la casa del glorioso Spartak Mosca di Nikolaj Sarostin (e della nobile decaduta Torpedo Mosca), che quel giorno si trova a giocarsi i sedicesimi di Uefa contro gli olandesi dell’HFC Haarlem.

E poi si sa, in un campionato calcistico fatto di ferrovieri, ufficiali e marinai, la squadra del popolo piace. Si chiama come lo schiavo che capeggiò la sfortunata rivolta contro gli odiati romani, e piace. E attira gente, anche quando ci sono dieci gradi sottozero, che a quelle latitudini del resto son bazzecole. E infatti sono ben 15000 i tifosi allo stadio, di cui cento ospiti, tutti concentrati nelle Tribune Ovest, in minor parte, ed Est, le uniche i cui spalti non sono coperti da letali lastre di ghiaccio, dunque praticabili. Poche emozioni, una rete della mezzapunta di casa, Edgar Gess e negli ultimi minuti un copione già visto: gioco stantio, freddo che morde e pubblico, soprattutto della Est, che lentamente inizia a defluire verso l’uscita, l’unica aperta, pare (non ci sono rapporti ufficiali). La folla è tante e le scale sono strette, troppo strette. Secondo le testimonianze, una giovane donna inciampa e cade, creado un beffardo ed assassino effetto domino. Le scale sono ripide, chi è in cima spinge e non vede, chi è nel mezzo spinge ed incespica, chi è in fondo resta schiacciato dalla calca. Ma il dramma ancora non si è consumato, ed attende la rete di Sergej Shvetsov: il difensore moscovita segna il definitivo 2-0, coloro che sono rimasti sugli spalti esultano, quelli che stavano uscendo dallo stadio si voltano. Pare, di nuovo, che tramite l’unico claustrofobico tunnel accessibile molti cerchino di rientrare nella tribuna, ma la polizia fa muro, di fronte ad una folla che spinge nel senso opposto.

Le scale forse collassano, non si sa. Chi era in campo non si accorge di niente: la milizia, a partita finita, costringe gli atleti ad abbandonare l’impianto. Le ambulanze tardano e molti poliziotti, sembra, senza ordini restano incredibilmente inerti.

Alla fine, anche se fonti non ufficiali parlano di 300 vittime, i morti accertati saranno 66 i, per i due terzi ragazzi nemmeno maggiorenni; 61 i feriti, di cui 21 gravi.

Le salme, non troppo curiosamente, vengono portate in diversi obitori cittadini e seppellite dodici giorni dopo in cimiteri differenti, pare, per evitare la costruzione di un monumento “rivelatore” sul luogo della tragedia. E, negli anni successivi, alla fine di Ottobre nessuno avrebbe giocato al Luzhniki: sembra per lo stato del manto erboso, forse per evitare manifestazioni e pellegrinaggi.

Cala il silenzio, si moltiplicano i “forse” e le voci: i media, come vito tacciono, i funzionari di partito, sembra, tramite falsi certificati di morte “spostano” le vittime in altri posti.

L’indagine c’è, bugiarda e leggera come usa quando qualcosa imbarazza il potere: anni dopo colui che se ne occupa, Aleksandr Shpeyer, in piena glasnost verrà smentito e discusso, ma mai incriminato. Tutti parlano di incidente, fatalità, caso. Anche gli organi d’informazione, pur consci d’essere agli sgoccioli: il trafiletto della Vechernyaya Moskva venne ripreso dall’ANSA e due giorni dopo La Stampa sbatté a sorpresa la tragedia in prima pagina, grazie a fonti tuttora sconosciute. Pur sottovalutando il numero dei morti, molti giornali occidentali ripresero la notizia, scontrandosi però con l’oppressivo silenzio dei colleghi sovietici, che sarebbe durato fino al 1989, quando il Sovetscky Sport citò il disastro di Luzhniki in una lista di tragedie simili. Le autorità, dopo un patetico palleggio di responsabilità e smentite, furono costrette a confermare il numero delle vittime, tutt’oggi altalenante, come il resto della vicenda.

Solo dieci anni dopo, nel 1992, un monumento è stato eretto sul luogo del disastro: tardivo, morboso e non in grado di scusare, perdonare e dimenticare il silenzio di regime sui morti del Luzhniki.

momento partita2 (sullo sofndo tribuna incriminata)